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Cecilia Mangini, la prima documentarista italiana del dopoguerra, racconta il suo legame con le immagini sin da quanto era bambina e andava la domenica a visitare i musei a Firenze. Oltre al cinema, una delle sue grandi passioni è stata la fotografia che, come lei stessa ha sottolineato, "è stata l'allenamento alla rapidità della cattura dell'immagine". Ripresa da Paolo Pisanelli, anche lui, fotografo, regista e direttore artistico del Festival Cinema del Reale a Specchia, ripercorre alcune delle fasi più importanti della sua formazione, delle esperienze fondamentali della sua vita, degli incontri con Pasolini e Zavattini. Da sempre legata alla pellicola ma sempre curiosa nei confronti delle novità, si avventura alla scoperta dei limiti ma anche delle risorse del digitale. Il mondo a scatti cattura tutta la vitalità e l'energia di Cecilia Mangini, scomparsa nel gennaio 2021 a 93 anni. Il dettaglio sul suo occhio mostra il rapporto continuo tra la cineasta e la realtà.Attraversa le fasi della sua carriera ma non è un documentario biografico. Procede piuttosto per frammenti sparsi, dall'influenza di alcune riviste di fotografia come "Tempo" e soprattutto quella di propaganda nazista "Signal", alle immagini scattate alle Isole Eolie nel 1952 a Panarea e Lipari fino a quelle sul set di La legge, realizzato in Puglia da Jules Dassin nel 1958 che non sono state le classiche foto promozionali ma invece un backstage sugli attori e sugli abitanti del posto che vedevano per la prima volta come si faceva un film. Attraverso il suo 'mondo a scatti', si intrecciano la vita privata e la carriera di Cecilia Mangini. Scorrono i film realizzati con suo marito Lino Del Fra come All'armi siam fascisti! e La torta in cielo di cui è stata co-sceneggiatrice o quelli firmati come regista da "Firenze" di Pratolini a Stendalì - Suonano ancora e, contemporaneamente, cita alcuni dei suoi modelli visivi da Caravaggio a Botticelli fino a David. Passato e presente sono in continuo dialogo. Emerge il suo spirito libero e indipendente, la sua rabbia per dover indossare il velo durante un viaggio a Teheran, la sua determinazione a centrare i suoi obiettivi anche quando al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma le avevano detto che "le donne non possono diventare registe".